Martedì, 18 Novembre 2025 Nazionali

Per un mondo più bello, empatico e migliore

Intervista al professor Guido Brunetti

Ogni anno il 13 novembre si celebra la ‘Giornata Mondiale della Gentilezza’ istituita nel 1998 con lo scopo di promuovere un mondo più bello, sereno e migliore, e valori come l’empatia, il rispetto, la generosità e la solidarietà.
Un anniversario particolarmente importante in una fase della nostra vita sottoposta da tempo a disagi, tensioni, ansia e stress.
Il professor Guido Brunetti, a tal proposito, dipinge un ritratto della società moderna:


“Nell’era dell’informazione, la società presenta un’immagine caratterizzata da ansia, insicurezza e arroganza, priva di quei valori e principi che hanno scandito per millenni il progresso dell’umanità. L’ignoranza e l’incompetenza vengono ostentate e premiate. L’ignoranza arrogante è una delle patologie della post-modernità. Proprio in questi giorni, lo storico Ernesto Galli della Loggia ha scritto che l’Italia è un ‘Paese ignorante’.
La cultura invece viene osteggiata.”
Apparentemente semplice e comprensibile, il concetto di gentilezza assume molte forme e significati.
Sorprendentemente, la gentilezza è uno degli strumenti gnoseologici più importanti:
soprattutto nella nostra epoca, estranea e indifferente ai valori, all’interiorità e alla generosità, la gentilezza è un elemento necessario alla conoscenza, alla crescita dell’individuo e alla cura di ogni umana sofferenza. È un sentimento fortemente legato alla saggezza, la quale ha una dimensione etica, come concorda il grande
psichiatra Eugenio Borgna. È l’arte di ‘condursi’ nella vita per conseguire quello che ci si prefigge come ideale etico. Non c’è segno esteriore di cortesia - ha scritto Goethe - che non abbia un profondo senso morale.
Come detto in precedenza, vivendo in una società che ha annichilito ogni valore, avvertiamo molto la mancanza di gentilezza, ossia di educazione, cortesia, affabilità, buoni sentimenti, nobiltà d’animo, elevatezza morale e spirituale. In questo senso, essa è anche empatia, che si declina in base alle teorie filosofiche e neuro
scientifiche.
Addentrandosi nella profondità di questo valore e indagando il legame con il cervello umano, possiamo dire che si tratta di comportamenti, come mostrano le ricerche neuroscientifiche, che affondano le proprie radici nei circuiti cerebrali più antichi, evolvendosi dagli inizi ancestrali nei cervelli dei rettili, milioni di anni fa.
L’investimento sulla gentilezza, solidarietà o empatia, si fonda su un insieme di meccanismi del cervello e sistemi neurali preposti all’accudimento dei neonati e allo sviluppo dei legami affettivi.
Sul piano storico, risulta uno dei valori più antichi, in quanto nella storia dell’Occidente, la gentilezza è soprattutto legata alla cristianità, la quale valuta come sacri i sentimenti generosi delle persone espressi attraverso la carità, l’amore e l’altruismo. La gentilezza, per il filosofo e imperatore Marco Aurelio, è “la delizia più grande dell’umanità”, un fattore importante - secondo Darwin - per l’evoluzione della specie e dell’umanità, un indicatore - aggiunge lo psicoanalista Winnicott - di salute mentale, che ci rende - precisa Rousseau - “pienamente umani”.

Dunque, la gentilezza come valore umano, sociale e morale.
Sarebbe errato pensare che la gentilezza contraddistingua solo l’essere umano, infatti, recenti ricerche nel campo delle neuroscienze mostrano al riguardo che anche gli animali hanno una tendenza alla generosità.
In pratica tutti i mammiferi, e gli uccelli, manifestano l’impulso all’accudimento.
Questi impulsi provengono da meccanismi del cervello innati ed hanno la capacità di aprirsi all’ascolto e al dialogo, di scendere nelle terre sconosciute della nostra interiorità. È cura e attenzione per gli altri. Ci avvicina al dolore e alla sofferenza e ne lenisce le ferite.
Non c’è cura, cura dell’anima e cura del corpo, se non è ‘intessuta’, per Borgna, di gentilezza e saggezza. La salute mentale di tutti i mammiferi è legata in maniera decisiva alla qualità di questi sentimenti.
Nell’attivazione di tali rapporti emotivi ed affettivi, un ruolo rilevante è svolto dall’ossitocina e da altri oppioidi, i quali possiedono una quantità di effetti positivi per il benessere fisico e mentale della persona.
La gentilezza rappresenta il legame indissolubile tra il campo umanistico e le discipline scientifiche, andando oltre ogni medicamento prescrivibile poiché, per esempio, la medicina e la psichiatria hanno bisogno di parole ‘delicate’ e piene di gentilezza, prudenza e saggezza. Le stimmate della gentilezza si rivelano nel modo
di ascoltare, comprendere e rispettare.
Anzitutto, occorre scegliere le parole giuste, quelle che non feriscono, ossia che generano ferite che sanguinano. Esse possono salvare o perdere una persona. Si devono perciò scegliere le parole che salvano e aiutano a vivere.
I farmaci, soprattutto in psichiatria non bastano.
Le parole gentili curano, hanno una forza non solo umana e morale, ma anche terapeutica, salvifica. È pertanto importante anche il “modo” in cui si dicono. Di qui, il rilievo che assume il linguaggio delle parole, il linguaggio dei volti e degli occhi, degli sguardi, delle lacrime e del dolore. Parole gentili e voci garbate, rispettose, educate
e voci gridate, aggressive e rozze. Una parola poco gentile pronunciata dal medico può causare, lo ripetiamo, “ferite che sanguinano”.
Fermandosi a riflettere sul ruolo marginale che la gentilezza ha assunto nella società, e grazie a numerose ricerche di autorevoli medici e studiosi di medicina, capiamo che il medico, la medicina e la sanità attraversano una forte crisi. Essi hanno acquistato in tecnologia quello che hanno perduto in umanità.
Un cambiamento traumatico, una rivoluzione antropologica. Una barriera calata tra medico e paziente. Un processo di “disumanizzazione”.
I medici appaiono ansiosi, insicuri, frustrati, demotivati, stressati e dunque poco gentili, non empatici, scostanti, rigidi, aggressivi, algidi. Sono sintomi messi in opera per controllare le loro ansie e la loro insicurezza. Sono meccanismi di difesa già studiati in psicoanalisi.
Emerge un medico burocrate, somatologo, attento solo ai dati di laboratorio. Il tecnico di un corpo diviso.

Scompare la persona del malato. Che diventa scisso, frantumato, senz’anima. C’è solo un insieme di organi su cui indagare, spesso in modo ossessivo. Il paziente diventa una macchina e il medico un meccanico.
Con la persona, sono scomparse le antiche, nobili virtù del medico, come bonomia, calore affettivo, serenità, conforto, sostegno, affabilità, gentilezza, empatia. Tutte qualità invocate inutilmente da una professione che gradualmente “rinuncia” alla propria vocazione "umanologa".
Sono qualità fondamentali in ogni cura, del corpo e della mente. Sono alla base della stessa cura.
Come teorizzato da Ippocrate nel IV secolo a.C., nella medicina c’è una forte esigenza di ‘umanità’ e ‘umanizzazione’. È un vistoso paradosso: quello di dover rendere umano ciò che umano e soltanto umano dovrebbe essere per “statuto e definizione”, e che invece si ammette essere “scaduto” a “disumano”.
Una cura stravolta in “incura”.
Il risultato è una progressiva “de-professionalizzazione” del medico con la privazione di ogni rapporto interpersonale empatico.
È la “disumanizzazione” della medicina. Una realtà percepita anche da molti medici. Contrariamente all’immaginario comune, per curare e guarire non basta la scienza.
Ci vuole l’anima. Che è disponibilità umana, capacità di empatia, di comunicare e di relazionarsi con l’altro.
Occorre una dimensione etica dell’educazione medica, la quale esige il possesso di un bagaglio di valori e qualità, al centro dei quali ci sono i bisogni dell’essere umano.
Che non è solo corpo, ma è soprattutto spirito, mente, coscienza, Io, emozione, sentimento, essenza. Una persona che deve essere curata in un ambiente altamente umano e umanizzante. Dove non ci siano mancanza di gentilezza, arroganza o supponenza, ma rispetto, educazione, disponibilità, sensibilità, sostegno, calore emotivo. A tutti i livelli.
Nella storia della letteratura e della filosofia, molti sono stati gli autori a cercare di cristallizzare la molteplicità di sfaccettature della gentilezza in una definizione, spesso evidenziando un risvolto negativo: per molti di essi, essa è considerata un sintomo di fragilità e di debolezza. Spesso, è vista come una forma di moralismo, egoismo o ipocrisia. Per alcuni studiosi, la virtù dei ‘perdenti’, un aspetto di narcisismo. Secondo Nietzsche, la gentilezza rivela una ‘cattiva coscienza’. Per il filosofo Hobbes, gli uomini sono ‘bestie egoiste’, l’esistenza è ‘una guerra di tutti contro tutti’ (“bellum omnium contra omnes”). Sono considerazioni che rinviano alle ultime scoperte delle neuroscienze. Queste dimostrano che il cervello umano è una combinazione di egoismo e altruismo, eros e thanatos, bene e male, pietà e crudeltà, miseria e nobiltà.
Conclude Brunetti: “Viviamo in una società iperconnessa, ma in una condizione di solitudine e di ansia, fatto che conduce a un sovraccarico emotivo e mentale con conseguenze negative sul nostro benessere.” “Mi piacerebbe vivere in un Paese in cui oltre all’osservanza di principi e regole, si coltivasse l’etica della gentilezza e
dell’empatia.

Favorire esperienze di Soft skills nelle scuole e nella società può rappresentare un forte elemento di progresso culturale e morale.”
Gaia Stivaletta