Venerdì, 29 Marzo 2013 Vasto

La Processione del Venerdì Santo a Vasto

Ricostruzione storica di un'antica e sentita tradizione

di Luigi Murolo

Credo che vi saranno stati motivi importanti
per decidere il mutamento di percorso del
corteo processionale del Venerdì Santo. E’ bene ricordare
che, in casi di questo genere, non si tratta
di un semplice cambiamento di tracciato ma di un
modo diverso di pensare e di rappresentare il senso
storico di organizzazione antropologica della città
antica. Qualche considerazione sull’argomento non
guasta.
L’attuale processione del Venerdì Santo di Vasto
è direttamente connessa con l’istituzione delle
Confraternite del Monte dei Morti. Si usa il plurale
perché inizialmente risultano istituite nelle Chiese
di S. Maria e di S. Pietro, entrambe nel 1652. Le
due confraternite erano titolari di specifici cortei
processionali: ma sovente erano oggetto di contestazione
da parte dei fedeli “avversari” che, nascosti
dai cappucci con cui sfilavano, provocavano occasioni
di rissa causando spesso l’interdetto delle
chiese da parte dell’ Arcivescovo teatino (finora la
documentazione più antica attestata è quella trasmessa
dal vol. ms. dei protocolli di notar Diego
Stanziani [3 giugno 1685] conservati presso la sez.
di Archivio di Stato di Lanciano). Le cerimonie delle
confraternite, in seguito, avrebbero assunto carattere
intramoeniale – e, inizialmente, all’interno della
chiesa – con lo sviluppo di vere e proprie azioni
drammatiche come l’oratorio Ester di Giuseppe Tiberi
rappresentato nella chiesa di S. Pietro nel 1759
(di cui ho recentemente parlato). Sarebbero state
tuttavia le nuove regole della Confraternita del Sacro
Pio Monte dei Morti di S. Pietro, rogate da notar
Giuseppe Cinquina nel 1754 e munite di regio assenso,
a dar prevalenza (anche alla processione) a
questa congrega.
In seguito alla soppressione delle collegiate di
S. Pietro e di S. Maria Maggiore – e alla loro conseguente
unificazione in un solo capitolo (13 gennaio
1808) – la chiesa di S. Pietro (trasformata in
coaudiutrice) diventava titolare della processione
cittadina del «Cristo morto». Titolarità che, formalmente
sancita con atto di notar Francescantonio
Marchesani del 21 aprile 1821, raccoglieva l’antica
tradizione delle due processioni solennizzate da entrambe
le chiese.
Fino agli anni Venti del Novecento, l’azione
drammatica si sviluppava di Giovedì santo – dopo
la celebrazione della Missa in Coena Domini – , non
di Venerdì (e ciò in ragione dell’Ufficio delle Tenebre
[in lat. Officium Tenebrarum o Tenebrae] che rappresentava
la liturgia principale del giovedì e del
venerdì santo, della vigilia di pasqua prima delle
riforme del XX secolo. In effetti, proprio perché costituite
dal Mattutino e dalle Lodi, le Tenebre prevedevano
il canto dei salmi, delle lamentazioni, dei
responsori, del Benedictus e del Miserere, sovente
– come a Vasto – erano anticipate al pomeriggio o
alla sera del giorno prima, con lo spegnimento graduale
di tutte le candele al canto di ciascun salmo,
lasciando alla fine la chiesa nell’oscurità totale. Da
qui il motivo dell’originaria celebrazione in chiesa).
A proposito della processione nel giorno di Giovedì,
così testimonia la Manna del Cielo, il prezioso libro
d’ore pubblicato in città nel 1920 dalla Congrega del
Santissimo Sacramento in San Pietro (p. XXVI, n. 4):
«Il Cristo morto […] vien portato in processione nel
Giovedì Santo […]».
Il corteo penitenziale presenta al suo interno i
misteri (o sepolcri) della Passione (gallo, colonna,
strumenti della flagellazione, veronica ecc.). Quali
testimonianze superstiti delle sacre rappresentazioni
medievali – in altre parole, figurazioni simboliche
delle stazioni della via Crucis –, essi connotano,
nella celebrazione devozionale, l’importante
presenza della drammatizzazione profana (non dimentichiamolo:
la processione si svolge nel periodo
extraliturgico della Chiesa).
Storicamente organizzata dalla pia congrega
laicale del Sacro Monte dei Morti, la processione
del «Cristo morto» scandisce, tra l’altro, il pathos
penitenziale del memento mori. Memento mori che,
posto a fondamento della confraternita, imponeva
storicamente alla stessa il dovere sociale del seppellire
i morti abbandonati e dell’assistenza ai carcerati
(dovere, non pratica devozionale. Quest’ultima
era di pertinenza della Confraternita della Carità e
della Morte, dapprima attiva nella Chiesa di S. Agostino
[S. Giuseppe] e in seguito trasferita nell’altra
di S. Francesco di Paola, o dell’Addolorata, titolare
dell’altra processione extraliturgica del Sabato Santo,
anticamente effettuata di Venerdì).
In aggiunta alla prevalente dimensione cultuale
(e non liturgica), l’antico impianto laicale della processione
sottolineava la solennità maiestatica della
Morte. Che, connessa con la dottrina del purgatorio,
dell’indulgenza, del suffragio (esclusive delle
confraternite del Monte dei Morti) diventava per il
viator messaggio – oltre che pratica – verso la vera
Vita.
Il percorso della processione vastese ricalcava
il modello cardodecumanico dell’antichissima processione
delle Rogazioni, soprattutto nel momento
di uscita del corteo dalla porta urbica detta Porta
Nuova (tale rito veniva celebrato nel giorno di S.
Marco – il 25 aprile – che, nel suo Sacramentarium,
Gregorio Magno definiva Litania quae maior appellatur.
Da qui, la successiva distinzione liturgica tra
Litanie maggiori, recitate il giorno di San Marco e
Litanie minori, acclamate sempre in processione il
lunedì, il martedì e il mercoledì prima dell’Ascensione).
Una cosa va precisata. Nel seguire gli allineamenti
ortogonali nord-sud (corso Plebiscito,
via Marchesani, via S. Maria) e ovest-est (corso de
Parma), il corteo disegnava sulla terra la sacralità
dell’itinerarium crucis.
Il «Cristo morto» – opera in cartapesta dell’artigiano
vastese Manella (prima metà del sec. XVIII) –
appartiene alla congrega del Sacro Monte dei Morti.
Esposto – prima della demolizione della chiesa di
S. Pietro (1959) – nell’omonima cappella amministrata
dalla Confraternita, è da oltre due secoli
patri-monio artistico e religioso della città. Rispetto
alle analoghe rappresentazioni di Chieti e Lanciano
che disponevano di un Miserere composto per le
specifiche processioni (Salvatore
Selecchy per Chieti e
Francesco Masciangelo per
Lanciano), l’allora parroco
di S. Pietro don Romeo Rucci
(1880-1960) decideva l’
adozione del Miserere di Lorenzo
Perosi, a tutt’oggi eseguito
dalla Schola Cantorum
fondata da Antonio Zaccardi
e attualmente diretta da Luigi
Di Tullio in collaborazione
con il Coro Polifonico Histonium.
«Tenebrae factae sunt,
dum crucifixissent Jesum Judaei:
/ et circa horam nonam
exclamavit Jesus voce magna:
/ Deus meus, ut quid me dereliquisti?
/ Et inclinato capite,
emisit spiritum».
La processione ha inizio.