Lunedì, 1 Settembre 2025 Abruzzo

Dopo 11 anni un imprenditore vince una causa contro la banca

L'istituto di credito dovrà risarcirlo con un milione di euro

Dopo undici anni e tre gradi di giudizio un importante imprenditore del settore dell’abbigliamento è riuscito  a recuperare oltre un milione di euro che una banca di interesse nazionale gli aveva portato via con un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. L’avvocato Emanuele Argento è riuscito ad aver ragione anche in Cassazione, costringendo la banca a restituire 1.045.000 euro al cliente imprenditore che era stato costretto a sborsarli da subito, senza chiedere la sospensione del decreto, per evitare una possibile reazione a catena di altri istituti di credito che lo avrebbero messo a rischio di fallimento. Lo riporta il Centro.

Quel conto finito all’attenzione dei giudici era peraltro stato chiuso nel 2009 quando la banca aveva richiesto, con un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, il rientro dell’affidamento nei confronti non solo dell’imprenditore, ma anche dei garanti. Partì così questa lunga battaglia giudiziale portata avanti dall’avvocato Argento, che già nel primo grado aveva permesso al ricorrente di eliminare gli importi indicati a debito dalla banca, riconoscendo addirittura un credito della società ex correntista. Ma la banca presentò appello dinanzi alla Corte aquilana per chiedere la riforma di quella sentenza. Era stato nominato anche un consulente tecnico che aveva effettuato tutti i conteggi relativi ai rapporti di conto corrente ripassati tra le parti, le cui risultanze sono state accolte anche dai giudici aquilani. Ancora una volta le motivazioni poste alla base di quelle due decisioni di primo e secondo grado erano legate all’accertamento sulla illegittima applicazione, da parte della banca, di interessi con capitalizzazione trimestrale (il così detto anatocismo), oltre all’illegittima applicazione di altri oneri mai validamente pattuiti tra banca e cliente. Ma per chiudere definitivamente la partita sono dovuti intervenire anche i giudici della Corte di Cassazione che hanno “bacchettato” l’istituto di credito in quanto il ricorso era sostanzialmente inammissibile.

«L’articolazione di un singolo motivo n più profili di doglianza», scrivono i giudici romani, «ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione di inammissibilità dell’impugnazione quando, come nel caso in esame, la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate; in particolare, l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione di inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse».