Il 20 novembre di ogni anno viene celebrata la Giornata mondiale del bambino istituita nel 1959 dall’ONU per promuovere la sensibilizzazione e il miglioramento del suo benessere fisico e mentale. Un tema di grande complessità che riguarda lo sviluppo mentale, sociale e morale dell’essere umano e il futuro della civiltà. Lo
esaminiamo con il professor Guido Brunetti, autore tra l’altro del libro “Lo sviluppo
psichico e mentale del bambino”.
Professor Brunetti perché è importante lo studio del bambino?
“Negli ultimi anni si è assistito ad un aumentato interesse verso l’infanzia e l’adolescenza considerate come fasi fondamentali della vita. Il campo di indagine in materia è immenso e comprende modelli pluridimensionali e polieziologici per la comprensione dei meccanismi neurobiologici, affettivi e sociali dello sviluppo e delle
sue forme patologiche. Capire i bambini è poi un’esigenza basilare per l’influenza che essi esercitano sui valori della società e sulle sue istituzioni”.
Che cos’è un bambino?
“Il bambino è una realtà vista in modi diversi, secondo le epoche e le culture. Per lungo tempo, egli è stato considerato un soggetto senza parola, senza intelletto e per alcuni filosofi senz’anima. Uno dei primi autori a sottolineare la colpa innata del bambino, in virtù della teoria del peccato originale, è stato sant’ Agostino. Così, per diciotto secoli, genitori e insegnanti sono stati d’accordo nel ritenere il neonato ‘carico del sudiciume e della lordura del peccato originale’ (Mause). Fino a tutto il Settecento, l’anima conta più del corpo. Infatti, egli è ritenuto imperfetto, un ‘animaletto incompiuto’. Nell’ Ottocento, l’immagine del bambino comincia a trasformarsi. Il neonato è considerato un essere unico, che acquisisce un valore affettivo, economico e morale”.
A che cosa è dovuto questo cambiamento?
“La psicoanalisi prima e le neuroscienze poi hanno rivoluzionato la nostra comprensione del cervello e della mente, evidenziando sia l’importanza di questa prima età sia le relazioni tra madre e bambino. Bisogna arrivare alla metà del Novecento quando si afferma un grande principio: per la prima volta, il bambino viene definito come ‘persona’. La Carta dei diritti dell’infanzia del 1959 riconosce e definisce infatti i diritti dei bambini, e fa appello a un’etica umana e medica allo scopo di realizzare il primo principio della Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo: tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali quanto alla loro dignità e ai loro diritti”.
Su quali basi costruire e attuare questi principi?
”Nuove conoscenze provenienti da molteplici discipline scientifiche hanno dimostrato l’importanza fondamentale della diade madre-bambino e delle esperienze dei primi anni di vita per la salute mentale e lo sviluppo normale o patologico dell’essere umano. Anche dopo la nascita, si perpetua la simbiosi uterina con la madre, espressa da una forte unità dinamica e fisica. Esperimenti condotti su animali e bambini hanno documentato gli effetti devastanti della carenza di cure materne, della separazione e della deprivazione affettiva e sensoriale, come disturbi nell’organizzazione e nel funzionamento del sistema nervoso, grave ritardo psico-motorio, disturbi cognitivi, sonno, appetito, anoressia, ansia e depressione. Dalle ricerche poi sono emersi modelli relazionali patogeni della madre con il bambino, quali l’iperprotezione, la sindrome del bambino vulnerabile, il concetto di madre schizofrenogena”.
Diventa dunque basilare il legame tra la madre e il bambino.
“Alla formazione dei legami affettivi contribuisce l’ attaccamento, che è un processo fondamentale dal punto di vista neurobiologico nello sviluppo del bambino,
poiché è alla base della cura dei piccoli, cruciale per la loro sopravvivenza. L’equilibrio mentale dell’adulto non è altro che il frutto del vissuto e dei traumi dei primi anni di vita. Gli studi neurobiologici dell’attaccamento sono stati condotti su modelli animali (macaco, ratti, pulcini, arvicole) e poi sull’uomo”.
Perché lo studio del bambino è così difficile e complesso?
“Il campo di studio del bambino è immenso. E’ una persona con caratteri originali e irripetibili. Questa unicità si riflette sull’unicità della mente e del cervello. Alla nascita e durante la crescita, egli pone problemi specifici che illuminano le qualità del suo essere, la cui caratteristica principale rimane la vulnerabilità. Un essere in divenire, sottoposto a una serie di cambiamenti fisici, neurobiologici, mentali e affettivi. Lo sviluppo del bambino è perciò caratterizzato da una incessante riorganizzazione con fasi accelerate o decelerate durante le quali si verificano
momenti di equilibrio e fasi di crisi. Ogni individuo pertanto si sviluppa secondo un ritmo che gli è proprio. A determinare lo schema strutturale della personalità di base, che condiziona ogni ulteriore evoluzione è il primo periodo di vita del bambino”.
Qual è il ruolo della scuola e della famiglia?
“L’influenza esercitata dalla famiglia, dalla scuola e dall’ambiente socio-culturale sulle capacità intellettive, emotive e sociali del bambino è notevole. C’è un principio fondamentale emerso dalla ricerca neuroscientifica: il bambino deve essere trattato secondo la sua natura individuale. La pedagogia, i programmi scolastici, la famiglia e la scuola non possono prescindere dai ritmi individuali del processo evolutivo. Purtroppo, sono principi che non ancora vengono acquisiti né dai sistemi pedagogici e scolastici né dalle famiglie. Questa realtà ha come logico risultato l’emergere di una serie di disturbi psichiatrici, che spesso assumono forme di disadattamento e di
devianza”.
Professor Brunetti come valuta la situazione?
In molti Paesi, si sta sviluppando una maggiore consapevolezza della grave emergenza della salute mentale nel bambino e nell’adolescente. Infatti, i casi di disturbo mentale, isolamento e abbandono scolastico sono in aumento in tutto il mondo. In Europa, un adolescente su sette convive con ansia, stress, frustrazione,
solitudine e bassa autostima. Spesso poi i ragazzi sono sempre più vittime di violenza, bullismo e cyberbullismo. Preoccupa infine il fatto che i ragazzi sfuggono sempre più al processo di integrazione affettiva ed educativa in famiglia e a scuola. Vivono in un’altra dimensione emotiva, mentale e sociale” attraversata da insicurezza
affettiva, mancanza di progettualità e sicuri punti di riferimento”.
Anna Gabriele