Martedì, 23 Maggio 2023 Molise

Pronto Soccorso Termoli fa i conti con infezione da anisakis

“Troppi mangiano pesce azzurro crudo”

Sono più di quanto si pensi i casi di infezione da Anisakis che si rivolgono al Pronto Soccorso di Termoli. Stiamo parlando dell’infezione legata all’ingestione di questa larva (il parassita dell’anisakis, appunto) che si trova in pesci e molluschi crudi o poco cotti. Non tutti, sia chiaro, ma prevalentemente nel pesce azzurro (alici, sardine, sgombri su tutti).

I casi che hanno avuto bisogno dell’ospedale a Termoli – che hanno dato un bel daffare al reparto e al nosocomio – sono stimabili in circa uno al mese (nell’ultimo periodo) e riguardano soprattutto persone che hanno mangiato alici. Alici non cotte, e tra queste rientrano anche quelle marinate. Già perché né il limone, né il sale, né olio e aceto, né l’affumicatura da soli hanno alcun effetto sull’anisakis. L’unico modo per non rischiare è consumare pesce che è stato precedentemente congelato o abbattuto.

L’anisakis è un sottile verme biancastro di pochi centimetri che nello stadio larvale vive negli intestini di alcuni animali marini. Pulendo il pesce – e si raccomanda di pulirlo subito, una volta comprato – lo si può vedere a occhio nudo (e dunque eliminarlo).

I casi, di età variabile, che sono arrivati nel reparto di Emergenza del San Timoteo erano tutti di persone che hanno mangiato pesce crudo a casa, e non già in ristoranti. L’anisakis inoltre non si trova in frutti di mare o in ostriche (che solitamente vengono consumati crudi con altri rischi annessi, come la salmonella). Secondo la letteratura scientifica la parassitosi da anisakis è stata evidenziata in più di 120 specie di pesci ed anche in 4 specie di cefalopodi, tra cui i calamari. Ma, appunto, sono soprattutto le alici nella casistica del Basso Molise. “Registriamo una sorta di retaggio, legata probabilmente al vivere in una città di mare, e una non corretta educazione alimentare”. Come reagiscono le persone interessate? “Si stupiscono, cascano dalle nuvole, ma è bene sapere certe cose. Non vale la pena rischiare”.

Già, perche i rischi ci sono e sono di varia entità. La sintomatologia acuta è in genere caratterizzata da dolori addominali, febbre, nausea, vomito e reazioni allergiche come l’orticaria. L’orticaria – sintomo tra i più frequenti e notati nella casistica termolese – può durare anche uno o addirittura due mesi. Impossibile delineare il decorso-tipo, perchè dipende da vari fattori. Non tutti poi si recano subito in pronto soccorso, alcuni pensano a una forte gastrite e passa del tempo (magari 15 giorni o finanche un mese) dall’ingestione che ha provocato l’infezione a quando si rivolgono alla struttura sanitaria. L’infezione poi può essere confermata con test sieroematici o una gastroscopia. Ma l’anamnesi non è semplice. Soprattutto in un caso, il più grave e che purtroppo si verifica, ed è questo l’aspetto più pericoloso di questo verme: le larve hanno la capacità di perforare le pareti intestinali e dunque migrare anche in altri organi provocando danni di entità variabile che possono anche provocare la morte. Ascessi, peritoniti, pancreatiti: sono casi in cui si può rendere necessario un intervento chirurgico. “Uno degli ultimi casi che abbiamo avuto riguarda una donna che aveva gli stessi sintomi dell’appendicite. Per fortuna non è stato necessario alcun intervento”.

Se invece ‘va bene’ al soggetto che ha ingerito l’anisakis toccherà comunque una terapia con farmaci antielmintici (vermicidi). Inoltre si ricorre a terapia antibiotica perché i rischi di infezione di altri organi, come visto, sono alti.

Su un opuscolo redatto dall’università Sacro Cuore e dal policlinico Gemelli di Roma (insieme al Dipartimento di prevenzione della sanità e benessere animale) leggiamo che: “Il consumo di pesce crudo da consumo di nicchia è diventato consumo diffuso. Consumare pesce crudo o poco cotto implica sicuramente un maggior rischio di contrarre intossicazioni e infezioni causate da batteri, virus e parassiti”. Insomma, attenzione anche all’effetto-moda.

L’anisakidosi, insomma, si può prevenire seguendo semplice consigli. Il primo: non consumare questi pesci crudi o non ben cotti. Il congelamento e la cottura di pesci e molluschi sono i due metodi più efficaci per evitare una infezione da anisakis. Ecco nel dettaglio le precauzioni fondamentali: rimozione delle viscere dal pesce prima possibile in modo da diminuire il rischio del passaggio delle larve ai muscoli; assicurarsi (nel caso non si desideri cuocere l’alimento) che il pesce nella sua totalità, anche le parti più grosse, sia congelato a meno 20 gradi (-20°) per almeno 96 ore (solo i congelatori industriali o quelli domestici a tre o più stelle possono raggiungere questa temperatura); cuocere il pesce, tenendo conto che, per avere la certezza di aver ucciso le larve, l’interno del pesce, comprese le parti più grosse, deve raggiungere una temperatura superiore ai 60°C per almeno 10 minuti.

La normativa dell’Unione Europea obbliga chi vende o prepara nei ristoranti che servono pesce crudo o in salamoia di effettuare la procedura d’abbattimento del pesce destinato al consumo a crudo. L’abbattimento si effettua tramite un’apparecchiatura (tipo freezer) che consente di portare l’alimento a temperature tra i -20 e – 40°C in tempi rapidi per un tempo variabile. Solo con questa procedura si distruggono le larve dell’anisakis.

A casa si annidano invece i rischi, legati anche all’uso di conserve di pesce. Tutto ciò chiaramente non deve scoraggiare il consumo del pesce azzurro che rimane un alimento contenente proteine di elevata qualità, con fibre muscolari corte e scarsità di tessuto connettivo e dunque ideale per i bambini, convalescenti e anziani che richiedono cibi nutrienti e di facile digeribilità.
Nei grassi di questi pesci sono poi abbondanti i noti Omega-3, direttamente coinvolti nell’uomo nell’azione preventiva delle malattie cardiovascolari, nonché minerali come il selenio, iodio, fosforo e calcio attivi promotori dei processi antiossidanti.