Domenica, 24 Maggio 2009 VastoMons. Bruno Forte intervistato da “Famiglia Cristiana”Realizzata dal giornalista Saverio Gaetadi Saverio Gaeta
(per Famiglia Cristiana) Tradurre concretamente nella vita di ogni giorno le indicazioni della Bibbia risulta difficile per la maggioranza degli interpellati nell’inchiesta Fenomeno Bibbia, promossa dalla Federazione biblica cattolica e pubblicata in questi giorni dalle Edizioni San Paolo. Uno dei motivi, spiega l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, presidente della Commissione episcopale per la Dottrina della fede,l’Annuncio e la Catechesi, «è che il principio dell’autonomia, caratteristico dell’epoca moderna, è stato spesso esasperato, spingendo l'uomo a farsi arbitro assoluto del proprio destino e creatore anche del proprio codice etico. Ed è questo che fa apparire un paradigma morale come quello biblico, che ci giunge dal di fuori del nostro mondo soggettivo, da Dio e dal suo amore, come qualcosa che sovrasta l’uomo e che dunque sarebbe impossibile da attuare». – Insomma, monsignor Forte, abituato a gestirsi da solo, l'uomo fa fatica a vivere quella che la Bibbia chiama l'obbedienza della fede, cioè la disponibilità a farsi guidare dall'alto? «Esattamente questo mi sembra il grande ostacolo che fa vedere la Bibbia come un libro dalle esigenze estreme. Ma non è così. Il Vangelo non punta all’osservanza delle regole, come se fossero un fardello posto sulle nostre spalle, bensì al dono della conversione, al rinnovamento del cuore. Perciò la principale proposta che ci fa la Bibbia è di comprendere che è l’innamorarsi di Dio e il lasciarsi trasformare dall’incontro con lui a donarci la capacità di realizzare le esigenze sia del Decalogo, sia delle Beatitudini». – C’è dunque una importante sfida pastorale nell’orizzonte ecclesiale: quella di rendere le Scritture, che indubbiamente continuano a possedere un fascino anche nella società secolarizzata, una parola che cambia il cuore e la vita. «La molla fondamentale della conoscenza è l'interesse, cioè l'essere attratti mediante un vincolo d'amore da ciò che si vuole conoscere. Dunque, per penetrare nella conoscenza della Bibbia occorre imparare ad amare Colui che nella Bibbia ci parla. Dal punto di vista pastorale è allora essenziale inserire la proposta della conoscenza biblica, finalizzata a una crescita morale e spirituale della persona, all'interno dell'annuncio della fede, dell'annuncio del Dio di cui la Bibbia ci parla. Ecco perché la difficoltà non consiste tanto in ciò che la Bibbia può chiedere, quanto nell’accendere quell'amore che ci rende disponibili ad accettare e vivere le sue richieste». – Da questa indagine emergono molti spunti. Per esempio, il 36 per cento dei praticanti – per stabilire ciò che è bene e ciò che è male – utilizza unicamente la propria coscienza, mentre un 15 per cento fa riferimento alla sola legge di Dio e il restante 48 per cento impiega la coscienza individuale che pone attenzione alla legge di Dio. Quale riflessione le sollecita questo dato? «Mi fa pensare quanto il principio moderno dell'autonomia sia penetrato profondamente anche fra i cattolici del nostro tempo. Il fatto che più di un terzo degli interpellati abbia la propria coscienza come unico riferimento per la definizione dei comportamenti è un frutto della modernità, che però ha posto così il cuore umano in una situazione di solitudine esistenziale. Ugualmente rischioso ritengo il fatto che il 15 per cento non utilizzi la mediazione della propria coscienza nel riferirsi alla legge di Dio, perché un simile atteggiamento può facilmente cadere in forme di fondamentalismo. Ecco perché il processo di discernimento, che esprime la reale novità della morale cristiana, deve passare sempre dall'incontro fra il Dio vivente che ci chiama e la risposta libera e consapevole del nostro cuore. Un segnale in tal senso importante è la testimonianza di quel 48 per cento, che unisce l’attività della coscienza individuale all’attenzione alla legge divina». – Emblematico mi sembra anche che la metà dei cattolici interpellati si sia dichiarata d’accordo con l’idea che chi è malato e non può guarire deve poter scegliere come e quando morire. «Forse questa domanda è stata espressa in modo un po’ ingenuo, perché in realtà nessuno conosce esattamente il confine vero di una decisione morale di fronte al mistero della morte, se non quando lo si stia vivendo in prima persona. A quanti hanno risposto così vorrei dire che le condizioni fondamentali perché si prenda una decisione moralmente significativa devono essere almeno tre: in primo luogo la coscienza della persona; poi il confronto con chi è competente in materia medica; infine, oltre scienza e coscienza, la rete di relazioni vitali in cui la persona è inserita, a cominciare da quella della fede in Dio. Ho conosciuto persone in condizioni terminali difficilissime che hanno voluto continuare a vivere tenacemente perché avevano attorno una rete di legami di amore e di fede che li sosteneva». – Da queste e da altre risposte, non le sembra legittimo il sospetto che questo, più o meno spinto, individualismo etico possa essere in qualche modo figlio di una ignoranza biblica che contraddistingue una buona fetta dei cattolici italiani? «È probabile. Quanto più si prende sul serio il confronto con la Bibbia, quanto più si ascolta e si studia la Parola di Dio, tanto più si viene aiutati a liberarsi da forme di individualismo che prima o poi risultano deleterie, tanto per la persona, quanto per la società. In questo senso mi sembra importante richiamare l’esempio della nostra Costituzione repubblicana. Questo testo – nato dalla confluenza delle tre anime che hanno contribuito alla ricostruzione dell’Italia, la cattolica, la liberale e la socialista – ebbe come principale fonte ispirativa di valori il Codice di Camaldoli, elaborato da un gruppo di giovani cattolici che nel 1943 ebbero l’audacia di pensare al futuro del Paese dopo la tragedia della guerra, attingendo luce dalla Parola di Dio. Ebbene, quel Codice è di fatto ispirato dal personalismo cristiano, che alla scuola della Bibbia ha elaborato le idee fondamentali della dignità irripetibile di ogni persona e dei conseguenti diritti e doveri di uguaglianza e di giustizia che se ne possono trarre. La Bibbia ci libera dalle secche dell’individualismo esasperato e ci aiuta a costruire legami che ci rendono tutti più ricchi di umanità e donano senso e bellezza alla vita ». |