Sabato, 19 Aprile 2008 NotizieSicuro, ben vestito, "pescarese". Il Luciano-due già pensa al treLa grinta del 2003. I toni bassi di ora. Le due campagne a confronto rivelano i piani del personaggioPubblicato su "Il Messaggero" di oggi 19 aprile
di LILLI MANDARA
Adesso si può permettere pure di scrivere a Pezzopane e Cialente per la legge sull'Aquila-capoluogo, alla faccia dei campanili e delle barricate, adesso è tutta un'altra storia. Mica come nel 2003 quando dovette sudare le sette camicie per dimostrare che da Lettomanoppello con moglie di Manoppello e casa a Francavilla avrebbe potuto fare lo stesso il sindaco di Pescara. Convinta la città non lo era proprio per niente, e hai voglia a dimostrare che i pescaresi doc non erano neppure il quaranta per cento, Luciano D'Alfonso era considerato l'infiltrato, l'imbucato, quello che si presenta alle feste senza invito.
D'Alfonso primo e D'Alfonso secondo, dalla campagna elettorale del 2003 il passo è cambiato e lui pure. Cambiato lui, cambiati i manifesti i messaggi lo staff, cambiati i vestiti il target le paure. Ma al D'Alfonso-due sta per subentare già a pochi giorni dall'elezioni, il D'Alfonso-tre, quello che presumibilmente si preparerà a correre per la Regione e che intanto scrive la lettera agli aquilani perchè non guasta. Più aggressivo e insicuro nel 2003, misurato e disinvolto nel 2008. «Cinque anni fa ho avuto seimila voti solo miei - diceva pochi giorni prima del voto - male che va adesso nè avrò seimila e uno». Modesto? No, realista: il seimilaeunesimo voto sarebbe stato il suo che nel frattempo ha trasferito la residenza da Francavilla a Pescara.
Ma realista D'Alfonso lo è per davvero: e siccome sa che il gradimento si conquista giorno per giorno e basta un piccolo errore per far dimenticare tutto, un anno fa costrinse la moglie a dare alla luce il terzo figlio a Pescara, rinunciando al suo ginecologo di fiducia Quirino Di Nisio che operava a Penne. I pescaresi lo avrebbero preso per uno sgarbo. Fece di più, impose al piccolo il nome di Cetteo santo patrono di Pescara, ormai in disuso da almeno due generazioni. Ma lui non ne volle sapere nulla, e il piccolo venne battezzato Cetteo anche se i familiari per fortuna lo chiamano Francesco. Dettagli, certo, come quando da sindaco neo-eletto nel 2003 fu costretto a improvvisarsi tifoso del Pescara per conquistare le simpatie della nord e per fortuna che la squadra vinse, oppure dovette rinunciare a farsi appuntare il titolo di cavaliere che gli aveva destinato la prefettura di Chieti, nonsiamai. Adesso che ha avuto voti da tutte e diciannove le liste, si può permettere di mettere a folle. «La sua è stata una campagna elettorale molto più misurata e sobria rispetto al 2003 - spiega il suo consulente Michele Russo della Mirus che all'epoca curava l'immagine del suo avversario Carlo Masci - In primo luogo ha usato meno mezzi, meno trotter e meno manifesti per esempio: anche per contrastare la critica più forte che gli è stata mossa, quella di spendere troppo; e poi anche i messaggi usati sono stati meno aggressivi, più rassicuranti». Il sindaco che le cose le fa, l'ultimo slogan, si basava su un dato di fatto che serviva poi a rendere credibili le promesse come il ponte sul mare o l'opera di Toyo Ito. Il sindaco che fa grande Pescara, poi è lo slogan che si mette a cavallo tra il Dalfonso-due e il D'Alfonso-tre, quello che guarda a Pescara città-Regione. Insomma niente è stato lasciato al caso, ma nel segno della sobrietà. «Se riguardiamo i manifesti del 2003 - aggiunge Russo - vediamo immagini di Luciano con le mani sulla città, in pose aggressive perchè il messaggio da far passare era quello di un cambiamento forte e deciso», ma quello era un D'Alfonso che si doveva legittimare anche con grandi fette di città, il nocciolo duro della borghesia, i commercianti notoriamente tifosi di Carlo Masci, i costruttori. «Adesso questa necessità non c'era, e D'Alfonso è stato favorito anche dall'assenza di una proposta riconoscibile da parte dell'avversario, e dalla capacità di accreditarsi come sindaco in grado di decidere e garantire autonomamente, senza le zavorre», come Teodoro e la Sinistra arcobaleno, per intendersi. E poi anche il look è cambiato. Nel 2003 lo guardavano storto, il donzelletto che vien dalla campagna (anche se poi meglio il suo che quello di Carlo Masci con i collettoni tardo-yuppie), adesso Michele Russo non gli ha dovuto dare neppure mezzo consiglio: «E' migliorato da solo, in questi cinque anni ha studiato anche in questo campo, mettendo da parte i vestiti marroni e begiolini e prediligendo i blu e i grigi». Della serie anche l'abito fa il sindaco.
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