Venerdì, 19 Novembre 2010 L'avvocato informa

RESPONSABILITÀ SANITARIA

Il consenso adeguato

A cura dell’Avv. Sergio Lapenna (Foro di Vasto)

Uno dei momenti più importanti nel rapporto medico-paziente è quello in cui il dottore, confezionata la propria diagnosi, spiega e riferisce all’ammalato il male di cui quest’ultimo è affetto, nonché le cure che si rendono necessarie.

E’ questo il c.d. momento dell’informazione, su cui rinvio a quanto già detto, in generale, in altra occasione (………).
Anche se da un punto di vista clinico informare il paziente potrebbe sembrare superfluo, portare il degente a conoscenza della patologia da cui è affetto è un suo diritto incontrovertibile. Anche per un motivo clinico, de l resto.

Si usa dire, in effetti, che nessuno è più bravo medico di se stesso. Con ciò volendosi indicare non la straordinaria preparazione medico-scientifica di ognuno (in quanto la cultura scientifica in campo sanitario è solo dei medici, sia inteso), ma, più verosimilmente, l’innata ed insuperabile capacità di analisi che ognuno esercita su se stesso, soprattutto quando è affetto da dolore. E’ naturale, infatti, che anche il più perito dei medici, nonostante la sua poderosa cultura scientifica, faccia atto di umiltà ed ascolti con attenzione la descrizione, anche astrusa talvolta, che il paziente gli sciorina sulle proprie disgrazie. Nessun medico si sognerebbe mai di operare una cura senza prima aver dialogato con il suo assistito. Conseguenza naturale di questo primo atto – il paziente che descrive i sintomi – è la comprensione della malattia da parte del medico (diagnosi) e, appena dopo ciò, la spiegazione al diretto interessato del giudizio della patologia.

Quest’ultima attività di avviso non va intesa come semplice obbligo informativo, fine a se stesso, in quanto persegue anche la finalità di consentire al paziente di compiutamente determinarsi sul se e come farsi curare. Non è escluso, in effetti, che il paziente scelga di non sottoporsi alla cura o di affidarsi a medici o strutture maggiormente adeguate rispetto a quelle che gli rendono la diagnosi. Prima di rilasciare il consenso alle cure, è diritto dell’ammalato anche di rinunziarvi (immaginate un paziente ultranovantenne affetto da lieve artrosi all’anca che non gli impedisce di deambulare) o, comunque, di scegliere centri ospedalieri specializzati. Non a caso la magistratura ha coniato l’espressione “consenso informato” per sottolineare la qualità del consenso reso dal paziente, da non confondere con un acritico “si”, bensì con una vera e consapevole accettazione del trattamento.

La consapevole accettazione del trattamento sanitario può essere resa dal paziente solo se compiutamente informato sulla patologia, sulla sua curabilità, sui vari metodi di cura, sui loro effetti, positivi e negativi, anche a lungo termine, sulla malattia e sull’organismo in generale.
Ciò premesso in via generale, occorre osservare, tuttavia, che, soprattutto negli ambienti ospedalieri, il momento basilare della comunicazione con il paziente viene spesso vanificato in un semplice adempimento burocratico.

Lo dimostra la prassi di far firmare ai pazienti – anche per interveti di una certa importanza – moduli generici con la sola annotazione, aggiunta a penna, del tipo di intervento.

Oltre a ciò, tali dichiarazioni, non contengono, nel dettaglio e specificamente, effettive spiegazioni sulla natura dell’intervento medico o chirurgico, la sua portata ed estensione, ai rischi, ai risultati conseguibili, alle possibili conseguenze negative, alla possibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri interventi e ai rischi di questi ultimi.
quali sono tutte le cure praticabili allo stato della scienza, e, soprattutto, gli effetti, anche negativi, di queste.

Cosicché il paziente dichiara di essere stato edotto di tutto pur senza sapere, tuttavia, di cosa.

Una prassi siffatta è stata censurata dalla giurisprudenza di merito, la quale ha pure chiarito che il diritto del paziente di formulare un consenso informato all’intervento appartiene ai diritti inviolabili della persona, ed è espressione del diritto all’autodeterminazione in ordine a tutte le sfere e ambiti in cui si svolge la personalità dell’uomo, fino a comprendere anche la consapevole adesione al trattamento sanitario, con legittima facoltà di rifiutare quegli interventi e cure che addirittura possano salvare la vita del soggetto.

E’ stato pure detto che il consenso dev’essere frutto di un rapporto reale e non solo apparente tra medico e paziente, in cui il sanitario è tenuto a raccogliere un’adesione effettiva e partecipata, non solo cartacea, all’intervento.

Esso non è dunque un atto puramente formale e burocratico!

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