Giovedì, 12 Giugno 2025 Abruzzo"Il bilancio regionale a rischio dissesto"Per due dipartimenti è emergenza. Oggi summitDebito fuori controllo, nel 2025 si stima dal 113 milioni di euro ai 200 milioni, l’aumento doloroso dell’addizionale Irpef per i redditi sopra i 28mila euro già ritenuto insufficiente, ben due sonore bocciature da parte del Tavolo interministeriale di monitoraggio sulle misure per contenere la spesa: ora in Regione scatta l’allarme del dissesto del bilancio regionale. Tanto che c’è chi teme, negli uffici della burocrazia regionale, che il rischio è che non si riuscirà nemmeno a pagare gli stipendi degli oltre 1.500 dipendenti. E questo mentre l’11 luglio è stato fissato a Roma il prossimo tavolo, il terzo, che attende di ricevere concrete misure di tagli alla spesa e razionalizzazioni da effettuare subito, e almeno una bozza di come si intenda ristrutturare in profondità il comparto della sanità abruzzese, con un piano operativo di medio e lungo termine, per renderlo economicamente sostenibile. A lanciare l’allarme, mettendo nero su bianco in una lettera la drammatica situazione, i Dipartimenti Sanità e Risorse, guidati rispettivamente da Emanuela Grimaldi, ex capo di gabinetto dello staff del presidente, Marco Marsilio, di Fdi, e Fabrizio Giannangeli. Ma c’è di più: i due alti dirigenti hanno inviato a Marsilio anche un documento di oltre 70 pagine, per indicare con esattezza chirurgica tutte le spesa da tagliare, settore per settore, capitolo su capitolo. E hanno chiesto e ottenuto la convocazione di un summit urgente che si terrà oggi pomeriggio a palazzo Silone, sede della giunta regionale a L’Aquila. Lettera sottoscritta anche dai dirigenti dei due dipartimenti, Luigi Colangelo ed Ebron D’Aristotile, indirizzata al presidente della Regione Marsilio, all’assessore al Bilancio, Mario Quaglieri, di Fdi, all’assessore esterno alla Salute, Nicoletta Verì, al capo di gabinetto del presidente, Stefano Cianciotta, al direttore generale della Regione, Antonio Sorgi, in cui si ribadisce che il tendenziale del disavanzo “non è migliorativo”, rispetto a quello macinato nel 2024, di 113 milioni, ed occorrono “immediate soluzioni”, e una manovra “correttiva strutturale”, per il prossimo triennio. Del resto, i dipartimenti Sanità e Risorse sono ormai da tempo in rotta di collisione con la politica regionale, in particolare con le indicazioni della maggioranza di centrodestra che male ha sopportato finora i provvedimenti di blocco della spesa, nel tentativo di contrastare il buco della sanità per ora incontrollato. E che invece saranno sempre più duri anche per difendersi da possibili interventi della Corte dei Conti su eventuali omissioni nell’attuare la azione di contenimento della spesa. Ma la strategia d’urto non finisce qua: Grimaldi ha preteso ed ottenuto un summit che è stato programmato per oggi all’Aquila. In questo senso, chiamando in causa direttamente il capo di gabinetto Cianciotta, a quale sarebbe stato chiesto di interessarsi più direttamente di sanità e, in particolare, del suo ruolo di raccordo e collegamento tra la politica e la parte burocratica. Summit già convocato da Cianciotta, alle 17.30 di oggi a palazzo Silone: oltre a Grimaldi, Giannangeli, Colangelo e D’Aristotile ci saranno il presidente Marsilio, gli assessori Verì e Quaglieri, il presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri, di Forza Italia, il presidente della prima commissione Bilancio, Vincenzo D’Incecco della Lega, il presidente della quinta commissione Salute, Paolo Gatti, di Fdi, il direttore generale Sorgi, il direttore dell’Agenzia sanitaria regionale Pierluigi Cosenza, il responsabile unico dell’assistenza sanitaria Marco Scorrano. Per far capire la gravità della situazione, non sono pochi i burocrati esperti che dicono che continuando così la Regione non potrà pagare gli stipendi ai dipendenti. Cioè sarà di fatto il dissesto dei conti, ipotesi ancor più grave del commissariamento della sanità, che ha gravato sull’Abruzzo dal 2007 al 2016, con nove anni di spesa frenata e sacrifici. Il nuovo buco della sanità è emerso ed è diventato di pubblico dominio solo dopo la trionfale riconferma del centrodestra di Marsilio alle elezioni regionali del marzo 2024, quando in campagna elettorale la sanità abruzzese veniva magnificata come un “modello da esportare”. Di li a poco, a giugno è stata però necessaria una manovra da 122 milioni per coprire il buco del 2023 di cui circa 60 milioni di tagli alla spesa dei dipartimenti regionali ed economie varie, il resto attingendo dalla cassa della Gestione sanitaria accentrata, la Gsa. Poi ai quattro dg delle Asl, è stato imposto un piano di rientro che non ha avuto però molta efficacia, e il debito del 2024 è salito a 113 milioni di euro, in realtà oltre i 200 milioni, ma con una buona parte coperta ancora con il fondo del Gsa, il resto attraverso l’aumento dell’addizionale Irpef per i redditi sopra i 28mila euro, per incassare, 44,3 milioni di euro, altri tagli al bilancio regionale, e con il blocco delle assunzioni di amministrativi, consulenze e internali e di altre attività. Ma neanche questo potrebbe bastare, visto che anche anche per il 2025 si aprirà una voragine nei conti e con sempre meno mezzi in mano alla Regione per coprirlo, tenuto conto che ad esempio per il deficit del 2024 si sono già preventivati tagli nel prossimo triennio. In questa situazione molto difficile, assume importanza l’esito della battaglia che sta conducendo Marsilio a livello nazionale, assieme a molte altre Regioni medio piccole, per una più equa ripartizione del Fondo sanitario nazionale, non più prevalentemente con il criterio pro capite, in base alla popolazione residente, che non tiene conto del fatto che la sanità in regioni meno densamente popolate e prevalentemente montane, garantire i servizi sanitari ha un costo ben maggiore, mentre ora ad essere oltremodo favorite nella ripartizione della torta sono regioni come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Ha poi annunciato Marsilio che c’è una vertenza in corso per ottenere ben 490 milioni di euro di crediti del pay back dei dispositivi medici, da parte delle aziende fornitrici, come prevede una legge approvata dal governo di Matteo Renzi, ma ancora in buona parte sulla carta, anche per la strenua opposizione delle società fornitrici. |