Lunedì, 18 Settembre 2006 Notizie

Consorzio Acquedottistico sulla piazza di Londra: "Acqua & Affari

Storia di dollari, d'investimenti e di sogni a occhi aperti

Per gentile concessione del direttore de "Il Giornale della Frentania", Filippo Marfisi, pubblichiamo la prima parte dell'inchiesta sull'intricata vicenda degli investimenti del Consorzio acquedottistico sulla piazza di Londra. di Filippo Marfisi Bollette salate, condutture colabrodo, comuni che pagano per sorgenti che sono nel proprio territorio. Il servizio di approvvigionamento idrico è oggi al centro dell'interesse dei cittadini e si possono ben comprendere le ragioni. Sasi (gestore della rete idrica), Isi (alla quale è affidata una parte del controllo del patrimonio dell'ex Consorzio Comprensoriale del chietino per la Gestione delle Opere Acquedottistiche) e ATO, l'ente politico sul territorio, sono per molti sigle di società che finiscono spesso per catalizzare il malumore degli utenti dei 90 comuni che formano i centri interessati ai servizi. La Sasi, tra l'altro, da quanto risulta, confermato anche dall'intervista all'ex presidente del Consorzio, Pietro Febbo, che pubblichiamo a parte, finora non ha incassato i 2.373.739 euro (duemilionitrecentosettantatremilasettecentotrentanoveeuro), somma che rappresenta il risarcimento quantificato dal Tribunale di Lanciano per l'operazione-truffa sui mercati internazionali. Un'azione finanziaria sciagurata di cui ha fatto le spese l'ente. Ma perché quei due milioni di euro sono ancora fuori delle casse della Sasi? Oltre al danno, la beffa: insomma, a rimetterci sono sempre gli utenti. Che cosa è accaduto nel 1999 al Consorzio? Sono emersi tutti i retroscena oppure ci sono altri aspetti rimasti finora in ombra? Per questa serie di motivi siamo andati a leggere le carte processuali e abbiamo ripercorso le tappe fondamentali di quella vicenda, scoprendo delle cose interessanti. Si tratta del primo servizio di un'inchiesta con la quale cerchiamo di far luce su un caso niente affatto concluso. Per capire quel che avvenne qualche anno fa al Consorzio Comprensoriale del Chietino per la Gestione delle Opere Acquedottistiche, con sede a Lanciano, bisogna partire dalla fine, dalla sentenza penale di primo grado, pronunciata dal Tribunale frentano, il 17 giugno 2005. Come ogni caso, vi è una verità processuale ed una storica, e attraverso l'una e l'altra, si ha la possibilità di comprendere meglio fatti e ruoli dei personaggi che ne sono stati protagonisti. Iniziamo dagli imputati. Sul piano penale, sono: Luigi Panzone, 49 anni, docente universitario presso l'Università D'Annunzio di Pescara, Facoltà d'Economia e Commercio; Liberato Scollato, 54 anni, broker finanziario sulla piazza inglese. Con loro, un terzo coimputato, Giorgio Druetta, intermediatore, uscito dalla scena dopo aver patteggiato la pena di un anno 11 mesi e 20 giorni di reclusione. Questi, sono stati accusati tutti di concorso in truffa aggravata ai danni dell'ente consortile. Secondo quando accertato nelle indagini, avrebbero manovrato 2,5 milioni di dollari statunitensi, somma messa a disposizione dal Consorzio e necessaria per poter avviare un'operazione d'investimento sul mercato privilegiato, che, però, non fu mai realizzata. Un mercato riservato, sotto il controllo della Federal Reserve e del Dipartimento di Stato americano, nel quale, ovviamente, si muovono solo soggetti qualificati. Due milioni e mezzo di dollari, pari a circa 5 miliardi delle vecchie lire, che sarebbero dovuti diventare 50 milioni di dollari. Una somma enorme, non c'è dubbio alcuno, da riutilizzare per investimenti sempre nel mercato privilegiato, Sarebbe stato sufficiente procedere ad un "blocco fondi", come si dice tecnicamente, consistito in un'attestazione proveniente da una banca della presenza di un certo ammontare di fondi liquidi a disposizione dell'ente consortile. In sostanza, con la somma di 2,5 milioni di dollari, il Consorzio avrebbe avuto la disponibilità per 60 giorni, di 50 milioni di dollari. La cifra iniziale di $2,5 milioni, era stata stornata dall'apposito fondo di riserva, costituito negli anni, per fronteggiare la probabile rivendicazione della società idroelettrica ACEA, di Roma, che gestisce il bacino lacustre di Bomba. L'ACEA, in sostanza, sosteneva che l'acqua che affluiva nell'invaso in Val di Sangro, utilizzata per fornire energia elettrica alla Capitale, era inferiore alle aspettative, perché una consistente parte finiva nella rete idrica, gestita dall'ente frentano. Non solo. Il bilancio dell'ente si era ulteriormente appesantito in termini di oneri e ammortamenti in quanto nel 1999, la Regione emanò una legge in base alla quale tutto il patrimonio strumentale relativo agli acquedotti, impianti, serbatoi e altro, sarebbero passati al controllo dell'ente. Ciò che poi avvenne. Un patrimonio per un valore complessivo di 150 miliardi di vecchie lire. Così, il 17 marzo di quell'anno, il CdA del Consorzio deliberò la sottoscrizione del contratto con la società di Panzone. Un accordo per un'operazione d'investimento di capitali, ritenuta sicura e di alto rendimento, della quale avrebbe dovuto occuparsi Francesco Paolo Luca Russo, dipendente dell'ente. Un incarico con pieni poteri, anche di firma e disposizione delle somme necessarie alle operazioni. Sembrava tutto facile, tranquillo e, appunto, sicuro. D'altro canto a presentare il prof. Panzone agli altri membri del CdA, era stato il vice presidente Antonio Marcello Boschetti, la cui moglie, Candida Bussoli, collaborava come assistente di Panzone presso la Facoltà di Economia e Commercio dell'Università D'Annunzio, di Pescara. Ma le cose, non andarono come molti avevano creduto. Col passare delle settimane, a operazione già avviata, qualcosa iniziò ad incepparsi e affiorarono le prime perplessità sul buon esito dell'investimento. Perché qualcuno nel CdA iniziò a pentirsi della destinazione data al pubblico danaro? La risposta è tra le righe della sentenza della Corte dei Conti, del 10 novembre 2004, Corte chiamata a pronunciarsi nel giudizio di responsabilità istituito dal procuratore regionale nei confronti del CdA del Consorzio, del direttore generale, del procuratore Francesco Paolo Luca Russo e di Luigi Panzone. Sul piano contabile, infatti, la Corte ha affermato chiaramente che ".a prescindere da ogni eventuale raggiro perpetrato ai danni del CdA, in nessun modo il dolo di altri poteva attenuare la responsabilità del Consiglio stesso". In altre parole, la decisione e l'attuazione dei fondi era di per sé un progetto consapevolmente azzardato: il CdA era stato imprudente nell'autorizzare quell'investimento. Nessuna precauzione era stata presa: dunque, il pentimento era del tutto giustificato. In effetti, come si accerterà più tardi nell'istruttoria dibattimentale davanti al Tribunale di Lanciano, Panzone, poco tempo prima di proporre gli investimenti sul mercato privilegiato al Consorzio acquedottistico, aveva disegnato lo stesso tragitto e gli stessi guadagni e con lo stesso esito, stavolta utilizzando 15 milioni di dollari americani, a una congregazione religiosa abruzzese. A questa, il docente universitario, sarebbe arrivato "grazie alla sue relazioni amicali con il vescovo di Pescara" dell'epoca, come risulta dagli atti processuali. L'operazione del Consorzio, dunque, proseguì, e ben presto i timori diventarono certezze. Infatti, allo scadere dei 60 giorni di validità dell'evidenza fondi, non fu realizzato alcun investimento e la somma impegnata per riuscire a ottenere la disponibilità dei 50 milioni di dollari, risultò spesa inutilmente. C'era dunque bisogno di porre riparo al buco di bilancio. Nel trambusto generale, c'è chi pensò di perpetrare la truffa ai danni di Liberato Scollato. Con il broker, che operava nella City londinese, Panzone e Russo, che rappresentavano l'ente, avevano già trattato nella prima operazione. Era stato lui, infatti, a procurare il documento d'evidenza fondi al Consorzio, indispensabile per avere maggiori risorse da investire sul mercato privilegiato. A Scollato, che operava con più banche d'affari, fu chiesto di adoperarsi per fornire la disponibilità di una nuova somma, ma saltando alcuni passaggi. Il broker avrebbe dovuto evitare di avvalersi, come nella precedente operazione, di un notaio a Londra e pur tuttavia di fornire il documento di evidenza fondi al Consorzio. Ciò dopo aver ricevuto, sul suo conto nel Regno Unito, il corrispettivo. Stavolta per 1,5 milioni di dollari. E qui l'inganno, che ben presto ha fatto scoperchiare la pentola. Per mettere in condizione Scollato di operare a Londra, gli fu trasmesso un bonifico, ma anziché della concordata somma, sul conto del broker, alla Lloyd's Bank, giunse un milione e mezzo di lire. Che cosa era avvenuto? Semplice. Dagli atti processuali risulta infatti, che il bonifico era stato alterato da Panzone. Il docente universitario, ricevuta la copia dell'ordine di pagamento, pensò bene di modificarlo "per far credere a Scollato di aver ricevuto la somma di 1.500.000 dollari dal Consorzio. Forse Panzone voleva soltanto prendere tempo, oppure sperava che Scollato facesse qualcosa immediatamente dopo aver ricevuto il fax, senza prima verificare l'effettivo trasferimento della somma". A far scoprire l'inganno, fu proprio lo Scollato, che chiese informazioni alla Banca Popolare di Lanciano e Sulmona. L'istituto di credito frentano, di fronte al documento falso, informò l'autorità giudiziaria e da lì prese il via l'inchiesta. Ma la parola fine sull'intera vicenda, come detto, non è stata ancora pronunciata.