Martedì, 14 Aprile 2009 Abruzzo

Angeli del Gran Sasso scesi tra le macerie

La storia della guida alpina Maurizio Felici

Fonte ANSA

di Marco Dell'Omo

L'AQUILA - Le mani di Maurizio Felici sono fatte per stringere la roccia. Sono mani grandi e nodose, e appartengono a un uomo alto, massiccio, con i capelli lisci e neri, la faccia spigolosa e scurita dal sole. Sono diventate così in tanti anni di attività in montagna, a forza di serrarsi nei buchi delle pareti, di battere chiodi, di manovrare le corde. Maurizio, infatti, è una guida alpina. E' nato in Veneto, a Valdobbiadene, ed è sceso in Abruzzo per una donna, dicono. Ha alle spalle grandi imprese, come quella di aver salito, da solo, i 6.000 metri del monte Mc Kinley (Alaska). La notte del terremoto, Maurizio si trovava nella sua casa di San Panfilo d'Ocre, un paesino accoccolato sui monti che incombono sopra il capoluogo abruzzese.

La scossa lo ha fatto balzare in piedi in un attimo. Il tempo di afferrare le scarpe e qualche vestito ed era già fuori. "Ho preso la macchina e mi sono precipitato all'Aquila, per cercare di capire che cosa era successo. Sono arrivato al piazzale del consiglio regionale, e lì dietro ho viso un palazzo semicrollato. Da dentro si sentivano urla e lamenti. Sono tornato in macchina, ho preso il caschetto, la lampada frontale e la piccozza. Non avevo altro, e ho cominciato a scavare tra le macerie". Da quel momento, per i successivi tre giorni, non si è più fermato: con le sue mani da montanaro ha tirato fuori dalle macerie una decina di persone vive, infilandosi tra pietre e travi crollate, o calandosi nelle voragini aperte dal terremoto sotto le case. "Sentivo le altre scosse, ma pensavo che le macerie sotto cui mi trovavo avrebbero assorbito i colpi. Mi è andata bene". Maurizio, in quest'opera di soccorso, non è stato solo.

All'Aquila c'é un gruppo del soccorso alpino formato da una ventina di volontari: sei sono guide alpine, gli altri sono ottimi alpinisti. La montagna è sempre stata una componente importante del capoluogo abruzzese. Un aquilano su dieci è iscritto al Club alpino italiano. Tutti, o quasi, almeno una volta nella vita sono saliti in cima ai 2912 metri di Corno Grande, la montagna più alta dell'Appennino che si vede dalle finestre di casa.

La specialità degli uomini del soccorso alpino è di tirare fuori dai guai quelli che si fanno sorprendere dalle insidie della montagna: ma tra recuperare uno sciatore travolto da una valanga e estrarre dalle macerie un sepolto vivo, in fondo non c'é una grande differenza. Agostino Cittadini, è il capo della squadra del soccorso alpino aquilano. Ricorda le ore che seguirono la violenta scossa: "Un giro di telefonate, e abbiamo capito che stavamo tutti bene. Ci siamo radunati, con il materiale che eravamo riusciti a recuperare, e ci siamo gettati nell'opera di soccorso. Siamo andati avanti a ciclo continuo.

Nei primi momenti, non avendo le barelle per trasportare i feriti utilizzavamo le persiane delle case". Uno di loro, Roberto Mancini, fa il veterinario, e ha avuto la casa e l'ambulatorio distrutti dal terremoto. Quando non c'é stato più bisogno di scavare nelle case, si è trasferito nei paesi intorno L'Aquila, per aiutare nel recupero e nella cura dei capi di bestiame feriti. Ora il lavoro della squadra del soccorso non si è certo interrotto. I venti angeli della montagna, fanno base al piccolo aeroporto di Preturo, dove sono stati raggiunti dalle altre squadre del soccorso alpino abruzzese. C'é ancora tanto da fare. Si cerca sotto le macerie, anche se non risultano più dispersi. "E' possibile che in qualche scantinato vivessero gruppi di clandestini non registrati", spiega Cittadini.

Gli uomini del sOccorso parteciperanno al lavoro di recupero delle opere d'arte nelle chiese. Nel frattempo volano con l'elicottero del 118 per accompagnare i malati gravi dall'Aquila negli altri ospedali della Regione. Quando sarà passata l'emergenza, andranno a controllare le ferite della loro montagna. Il terremoto ha fatto staccare sul Gran Sasso valanghe di proporzioni gigantesche; ed è anche arrivata la segnalazione di una grande frattura che si sarebbe aperta sulle rocce di Corno Piccolo.