Lunedì, 2 Gennaio 2023 MoliseIn Molise più pensionati che stipendiati: bilancia negativaA fronte di 100mila persone stipendiate o autonome ci sono 124mila pensionatiCentomila stipendi e centoventiquattromila pensioni. È questo lo sbilanciamento esistente in Molise. Come in tutto il Sud ma anche in altre regioni del Centro e persino in qualcuna del Nord, nella nostra regione il numero delle pensioni è molto superiore a quello degli stipendi o del reddito da lavoro autonomo. Lo rileva una elaborazione dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre basato su dati Istat e Inps aggiornati al primo gennaio 2022. Secondo questi dati Campobasso e Isernia sono in proporzione allo stesso livello, perché se nella provincia pentra il divario è fra 36mila pensioni e 29mila stipendi, in quella del capoluogo a fronte di 71mila stipendiati ci sono 87mila pensionati. Il Molise non è certo un’eccezione. “Anche se di sole 205 mila unità – spiega la Cgia di Mestre -, a livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (22 milioni 554 mila addetti). I dati sono riferiti al 1° gennaio 2022”. Nel vicino Abruzzo su 484mila stipendi ci sono 517mila pensionati. Il divario diventa ancora più netto se si guarda alla Campania con 226mila pensioni più degli stipendi e in Puglia con addirittura 276mila di divario negativo, ma al primo posto spicca la Sicilia con meno 340mila. Le regioni del Nord fanno segnare invece un saldo positivo con la Lombardia a fare la parte del leone ma l’eccezione è rappresentata dalla Liguria che è in negativo per 71mila. Come si spiega tutto questo? “Le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando il nostro Paese. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento). Per quanto concerne il risultato “anomalo” del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700 mila occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola”. I settori più penalizzati sono Immobiliare, Trasporti, Moda, Ricettività e Ristorazione e la difficoltà a trovare personale lavorativo accentua la tendenza, anche a causa di offerte di lavoro poco allettanti e diritti spesso non garantiti. “Per contrastare il calo delle nascite e il conseguente invecchiamento della popolazione è necessario mettere a punto una serie di interventi di medio-lungo periodo” suggerisce la Cgia che riprende quanto già indicato dalla Banca d’Italia. “È indispensabile, in particolar modo, potenziare le politiche mirate alla crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori), allungare la vita lavorativa (almeno per le persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale), incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro e, infine, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’UE”. Fonte primonumero.it |