Mercoledì, 21 Marzo 2012 L'avvocato informa

RIFORMA FORNERO

una breve occhiata al futuro mercato del lavoro

a cura dell'avv. Sergio Lapenna del foro di Vasto


Cerchiamo di fare il punto e di dare qualche prima informazione riguardo la imminente riforma del mercato del lavoro varata dall’attuale ministro del welfare Elsa Fornero.
Dagli annunci di stampa che trapelano in questi gironi si ricava che il mercato del lavoro resterà incentrato ancora sulla figura dominante del contratto a tempo indeterminato e a tempo pieno (definito, appunto, dallo stesso ministro, quasi ironicamente, “modello dominante”).
Rispetto al passato, tuttavia, questo modello di contratto perde la sua obiettiva garanzia di sicurezza reddituale per il lavoratore in quanto, con la modifica dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, è stato, diciamo così, alleggerito il peso che il datore di lavoro sopporta anche in caso di licenziamento dichiarato illegittimo.

Diciamo subito che il licenziamento dovrebbe strutturarsi secondo il seguente schema:
  • Il licenziamento discriminatorio resta sempre nullo con diritto al reintegro.
  • Il licenziamento economico (cioè per motivi oggettivi che giustificano la riduzione del personale), se dichiarato da giudice illegittimo, manterrà i suoi effetti ma darà al lavoratore (illegittimamente licenziato!) un indennizzo da 15 a 27 mensilità.
  • Il licenziamento disciplinare (per motivi soggettivi dovuti al comportamento del dipendente), se dichiarato illegittimo, mantiene i suoi effetti, con diritto ad un indennizzo (fino a 27 mensilità) a meno che il giudice – a suo parere – decida di ordinare il reintegro.
Ovviamente non si conoscono bene i termini esatti con cui si esprimerà la nuova normativa, che solo da oggi prenderà le mosse per essere veicolata – non si sa ancora se con un decreto o se con un disegno di legge delega – al varo del parlamento, ma da quanto si apprende dalla stampa, sembrerebbe davvero possibile, d’ora in vanti, licenziare liberamente il dipendete, semplicemente accampando un pretesto economico, in quanto, anche in caso di declaratoria di illegittimità di un siffatto licenziamento, la conseguenza resta sempre il risarcimento e basta senza possibilità di essere reintegrati.
A meno che il lavoratore non riesce a provare che il motivo economico del licenziamento – difficile con i tempi che corrono – maschera in verità un recesso discriminatorio (in tal caso è previsto il reintegro).
Cosa cambia rispetto a prima: con la vigenza dell’art. 18, in caso di licenziamento illegittimo, l’azienda (non di piccole dimensioni) era sempre costretta a reintegrare il lavoratore, a meno che quest’ultimo optava per un indennizzo.

Per i licenziamenti impartiti per motivi disciplinari, invece, sembrerebbe residuare la possibilità di essere reintegrati se, accertata l’infondatezza del motivo, lo vuole il giudice.
Se ciò sarà vero, sembrano dotate di un certo significato le critiche mosse alla riforma da alcune associazioni sindacali, secondo cui la riforma rende più facili i licenziamenti a ma non è compito di chi scrive esprimere pareri in merito.
Comunque, l’intera riforma, a discapito della concessione appena descritta sul licenziamento che accentua la c.d. flessibilità in uscita, appesantisce il costo per le assunzioni precarie (flessibilità in entrata), comportando, ogni assunzione a tempo determinato, maggiori oneri per l’impresa, che andranno a finanziare il nuovo sussidio di disoccupazione c.d. a.s.p.i. (assicurazione sociale per l’impiego).
E’ come dire all’impresa: se scegli di non assumere a tempo indeterminato, il contratto flessibile ti costa di più (diventa un lusso).
L’incentivo a stabilizzare i posti di lavoro (cioè a trasformare i rapporti precari in definitivi, secondo il modello di rapporto dominante) si incontra anche laddove, l’impresa che abbia inizialmente optato per una flessibilità in entrata (sostenendo, quindi, maggiori oneri di assunzione), decida, in un secondo momento, di trasformare il contratto secondo il modello dominante, la quale si vedrà restituire – in parte – i costi maggiori inizialmente sostenuti per le assunzioni flessibili.
Inoltre, al fine di scoraggiare abusi precarizzanti – verrà previsto che qualsiasi contratto a termine reiterato per più di 32 mensilità diverrà automaticamente a tempo indeterminato.
Negli obiettivi del governo dovrebbe, inoltre, esserci anche una calendarizzazione dei giudizi al fine di rendere certi i tempi delle vertenze lavorative.
Verranno disciplinate, in senso sanzionatorio, le cosiddette dimissioni in bianco.
Si tenderà, infine, a trasformare il rapporto di lavoro sempre più in un percorso formativo che, da un lato, inizierà il suo iter, soprattutto per i giovani lavoratori, con periodi di apprendistato certificato e, successivamente, attraverso i meccanismi di incentivazione sopra descritti, andrà stabilizzandosi in un rapporto dominante, più conveniente all’impresa.
Ciò ovviamente ha un senso laddove il capitale umano è davvero una risorsa per l’impresa. Ma nei periodi che corrono, se non ci sarà l’agognata ripresa, tutte le imprese, in quanto in difficoltà, tenderanno a disfarsi del personale per motivi economici – veri o non veri – al limite rischiando solo il pagamento di un indennizzo (rischio abbastanza serio, se si considera il contingente deficit di liquidità nelle casse di molte aziende). Inoltre, se si tiene conto anche dell’attuale tendenza, in atto in molte imprese, di progressiva sostituzione del lavoratore con la macchina (c.d. automazione) o di migrazione delle sedi industriali in paesi dove la forza lavoro è meno onerosa, la riforma in questione diventa, effettivamente, inadeguata, dando l’impressione, da un lato di sottovalutare i veri ostacoli economici della crescita, e, dall’altro, di voler solo facilitare quel generale processo di “svestimento” della mano d’opera che molte imprese in Italia, anche di notevoli dimensioni, già seguono da tempo per motivi strategici.
Ma di ciò non dovremmo preoccuparci, in quanto lo stesso ministro Fornero ci assicura che mentre prima i lavoratori avevano un sistema che garantiva di mantenere un posto, il più delle volte, che non aveva futuro; d'ora in avanti i lavoratori avranno un sistema che li protegge nella ricerca di una nuova occupazione (fonte: www.ilsole24ore.com. Link: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-21/articolo-questione-chiusa-063745.shtml?uuid=Abpw0dBF ).
La domanda che sorge di fronte a questa affermazione è la seguente: ma quando il Ministro usa l’espressione “sistema che protegge nella ricerca di una nuova occupazione” si riferisce davvero all’Italia?
Si vedrà…