Venerdì, 29 Marzo 2024 Abruzzo

Su un omicidio commesso 19 anni or sono una nuova indagine

L’avvocato Libero Masi e la moglie Emanuela Chelli, entrambi 57enni, furono uccisi nella loro villa di Nereto

Nuova inchiesta per il duplice omicidio di una stimata coppia di coniugi nel Teramano, massacrata a colpi di machete nella notte tra il primo e il 2 giugno 2005: a 19 anni dal delitto, rimasto impunito e con un movente ancora sconosciuto, a riaprire le indagini è il procuratore Ettore Picardi.

Il magistrato, quando era pm ad Ascoli Piceno, è stato in prima linea nelle indagini sugli omicidi di Melania Rea e Rossella Goffo, due casi risolti e finiti alla ribalta delle cronache nazionali.

L’avvocato Libero Masi e la moglie Emanuela Chelli, entrambi 57enni, furono uccisi nella loro villa di Nereto (Teramo).

I due hanno cercato di difendersi dall’aggressore, sono stati picchiati e, una volta a terra, colpiti ripetutamente con un machete: nove colpi al cranio per l’uomo, due colpi per la donna che aveva anche delle lesioni alla bocca, che potrebbero far pensare a una pressione esercitata per cercare di soffocarla. A trovare i cadaveri era stata la badante dell’anziana parente dei coniugi che abitava al piano superiore.

Le indagini dell’epoca seguirono le piste della rapina in villa commessa da una banda di extracomunitari e della vendetta maturata nell’ambito professionale del legale, ma senza risultati apprezzabili: l’arma del delitto non fu mai ritrovata, le tre impronte digitali rilevate dai Ris non portarono ad alcun riscontro utile, come le parti di indumenti – appartenenti probabilmente all’assassino – macchiate di sangue ritrovate in un cassonetto nei pressi dell’abitazione dei coniugi.

I diecimila euro che l’avvocato aveva riscosso il primo giugno dai clienti e che in un primo momento risultavano mancanti, furono ritrovati, nascosti all’interno di un libro, in un successivo sopralluogo degli investigatori. A detta di questi ultimi alcuni elementi indurrebbero a credere che la coppia conoscesse l’aggressore. Seri dubbi invece sono stati sollevati dalla ‘messinscena’ della porta dello studiolo bruciacchiata, a pochi passi dal punto dove sono stati trovati i cadaveri, e delle due bottigliette di plastica semi-liquefatte, contenenti un liquido presumibilmente infiammabile.

Alla fine delle indagini, chiuse e riaperte due volte, vennero individuati cinque sospettati – tre marsicani e due teramani – ma le loro posizioni furono archiviate nel 2010, perché avevano tutti un alibi: non potevano essere nella zona di Nereto al momento del delitto.

A complicare le indagini ci fu anche la figura di Massimo Bosco – disoccupato poi deceduto nel 2013 – all’epoca dei fatti residente in Val Vibrata, che si era autoaccusato di essere il responsabile, insieme ad altre due persone, dell’omicidio: non fu creduto e venne condannato a due anni e dieci mesi per calunnia.