CITTÀ DEL VATICANO - «Mi ha colpito molto quel silenzio, quando Benigni ha chiesto di fare
silenzio. Dio non è nel vento, nel terremoto o nel fuoco, si legge nel racconto dell’esperienza di Elia
sul monte Oreb, nel primo libro dei Re (cap. 19), ma Dio si avvicina in ciò che di solito viene
tradotto come “brusio di vento sottile”. Nel testo ebraico della Bibbia l’espressione in realtà è “qol
demamah daqqah”, che alla lettera significa “voce di silenzio sottile”. Si vede che Benigni ha fatto
uno scavo esegetico. Quell’invito al silenzio è un segno di come abbia affrontato con serietà il testo
dell’Esodo». L’arcivescovo Bruno Forte, scelto dal Papa come segretario speciale del Sinodo sulla
famiglia e confermato da Francesco anche per il prossimo, è uno dei massimi teologi
contemporanei: per dire, l’unico studioso non di lingua tedesca ad aver ricevuto il «premio di
teologia alla carriera» a Salisburgo, sorta di Nobel della disciplina. Anche lui era uno degli oltre
nove milioni di persone che hanno seguito su Raiuno la prima serata dello spettacolo sui dieci
comandamenti, 33 per cento di share, un successo stupefacente.
Che impressione ne ha tratto, eccellenza?
«Molto positiva. Il grande rischio, parlando dei comandamenti, era di cadere da una parte nel
moralismo e dall’altra nella banalità. E invece, con stile e simpatia, Benigni è riuscito a trasmettere
contenuti alti e a far capire che lì viene rivelato il destino dell’uomo, che in quelle parole siamo in
gioco noi, Non si tratta insomma di una legge in senso aggressivo, di una prigione, ma al contrario
del presupposto per essere davvero liberi. La Legge di Dio ci rende liberi!».
Ma si può fare uno spettacolo divulgativo senza svilire il contenuto del testo sacro?
«Se si evita la superficialità, sì. Non è facile, ma mi è parso che Benigni ci sia riuscito. Il messaggio
è passato in maniera forte, senza rendere banale il senso della trascendenza: Mosè si trova davanti al
roveto ardente e lì c’è Dio che parla all’uomo e così rivela l’uomo all’uomo, dice le condizioni per
realizzare in pienezza la nostra umanità. Un messaggio che credo sia riuscito a raggiungere tutti,
credenti e non credenti, e anche questo è molto importante».
E perché sono importanti anche quei dieci secondi di silenzio?
«Perché hanno messo in luce che Dio ci ha parlato pure nell’assenza di parole. La Bibbia non è solo
il libro della parola di Dio, ma anche il libro del Suo silenzio. André Neher, ne L’esilio della
Parola, ha mostrato come la Bibbia sia il libro nel quale Dio parla innumerevoli volte nel silenzio,
con la semplice eloquenza della prossimità, con la sua vicinanza all’uomo».
C’è chi ha osservato che faceva meno ridere...
«Io distinguerei tra la comicità che cerca di strappare una risata a tutti i costi, senza andare oltre, e il
sorriso o il riso, che nascono dalla simpatia, proprio nel senso del “sentire con”, della prossimità. La
Bibbia è anche il libro del sorriso e del riso di Dio. Il nome Isacco significa letteralmente “Dio
sorride”. È una costante del testo biblico. Il sorriso che nasce quando non si sta né troppo in basso,
confusi con il mondo, né troppo in alto, in una lontananza remota, ma si resta accanto: il Dio biblico
è questo, un Dio vicino, trascendente e protagonista della storia, Figlio eterno e Verbo fatto carne. Il
messaggio più bello della Bibbia è che ci mostra questo Dio vicino».
Si evangelizza anche così?
«Io penso che questo spettacolo sia stato un canale straordinario di evangelizzazione. Ha mostrato il
volto del Dio biblico come amico vicino, amabile, affidabile: e questa è evangelizzazione.
Evangelizzare non può essere solo opera dei tecnici o dei “professionisti”, ma anche di chiunque
prenda sul serio il compromettersi di Dio con l’uomo».
A chi ha nostalgia del Benigni più irriverente, che direbbe?
«Col tempo, per grazia di Dio, tutti maturiamo e possiamo crescere in profondità e vera umanità!».
Gian Guido Vecchi