Martedì, 1 Settembre 2015 Nazionali

Saluto al Sinodo delle Chiese Valdese e Metodista

Di + Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto Presidente della Commissione CEI per l’Ecumenismo e il Dialogo

Care Sorelle e cari Fratelli Valdesi e Metodisti,
è con gioia e commozione che mi ritrovo fra Voi dopo molti anni, da quando -
era il 22 luglio del 1982 -, da Voi fraternamente invitato, intervenni al Centro
Ecumenico Agape per parlare del documento della Commissione Fede e Costituzione
del Consiglio Ecumenico delle Chiese, approvato a Lima quell’anno, intitolato
Battesimo, Eucaristia e Ministero, in dialogo, tra gli altri, con gli amici Paolo Ricca,
Renzo Bertalot e Bruno Corsani. Ricordo ancora l’intensità e la vivacità di
quell’incontro, nel quale sperimentai una calorosa accoglienza e un’intensa
comunione di fede nel Signore Gesù, pur nelle innegabili differenze di teologia e di
prassi che esistono fra noi. In questa luce, comprenderete perché ho vissuto con molta
partecipazione, anche se non presente di persona, la visita del Vescovo di Roma
Francesco al Tempio Valdese di Torino lo scorso 22 giugno. Partendo da quanto
hanno detto i protagonisti di quell’incontro, vorrei presentare qualche riflessione che
spero possa aiutare lo sviluppo del nostro dialogo e della nostra amicizia.
Mi fermo in particolare sui due “punti caldi”, richiamati nel suo discorso dal
Moderatore della Tavola Valdese Eugenio Bernardini: da una parte, quello del
riconoscimento della confessione valdese come “chiesa” e non semplicemente come
“comunità ecclesiale”; dall’altra, la questione della reciproca ammissione alla mensa
eucaristica. Rivolgendosi al Papa, il Moderatore ha detto: “Noi vogliamo essere
chiesa, ci sentiamo chiesa, cerchiamo di testimoniare il vangelo, di seguire il Signore
Gesù...”; e, relativamente all'Eucaristia, ha affermato che “ciò che conta è che tutti in
quel pane e in quel vino vediamo il segno del corpo e sangue di Cristo e crediamo che
sia così. Il resto sono interpretazioni teologiche, che non devono dividerci...”. Si tratta
di due questioni decisive, sulle quali anche da parte cattolica c’è la volontà di
dialogare con apertura e con sincerità. Fondamentale, poi, è stata la richiesta di
perdono ai Valdesi pronunciata da Papa Francesco, soprattutto perché è nella verità
che l’atteggiamento di accoglienza reciproca e di disponibilità alla riconciliazione
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potrà essere costruttivo ed evangelico. Vorrei anche ricordare che lo scorso 9 marzo,
in Senato, dieci diverse confessioni cristiane presenti in Italia hanno firmato un
documento congiunto di condanna contro la violenza alle donne: promotori di questo
documento sono stati proprio i Valdesi, rappresentati in particolare da Maria
Bonafede e Debora Spini. L’Ufficio CEI per l’Ecumenismo e il Dialogo ha condiviso
l’iniziativa, cercando di coinvolgere altre chiese cristiane. L'intenzione è quella di
andare avanti con la sensibilizzazione su questo tema, e di farlo in modo congiunto,
offrendo un esempio di collaborazione su una questione che riguarda tutti i cristiani e
non solo. Questo dimostra che, se ci mettiamo d'impegno, riusciamo a trovare e
valorizzare ciò che ci unisce!
Nella visita al Tempio Valdese Papa Francesco ha esordito con espressioni forti
e chiare: “Con grande gioia mi trovo oggi tra voi. Vi saluto tutti con le parole
dell’apostolo Paolo: ‘A voi, che siete di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo, noi
auguriamo grazia e pace’ (1 Ts 1,1 - Traduzione interconfessionale in lingua
corrente)”. Essere di Dio e del Signore Gesù Cristo è la condizione più alta di cui un
cristiano possa essere grato al Signore: è su questa appartenenza alla Trinità che si
fonda la natura più profonda della Chiesa. Con questo riferimento al più antico testo
cristiano, la prima lettera ai Tessalonicesi, Papa Francesco è andato oltre la questione
della dichiarazione di ecclesialità, mostrando come essa sia subordinata alla primaria
e decisiva partecipazione alla vita trinitaria. È in tal senso che va letto anche il
bellissimo riferimento alla “fraternità cristiana” fatto dal Vescovo di Roma: “Uno dei
principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi
anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo
e sono stati battezzati nel suo nome. Questo legame non è basato su criteri
semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della
vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e
l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita. La
riscoperta di tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci
unisce, malgrado le nostre differenze”.
Il Papa era certo consapevole della portata di queste affermazioni, come
dimostra l’onesta precisazione che ha fatto seguire ad esse: “Si tratta di una
comunione ancora in cammino - e l’unità si fa in cammino - una comunione che, con
la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei
teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena
e visibile nella verità e nella carità”. È qui che Francesco ha sviluppato l’idea centrale
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del suo discorso, ripresa in seguito anche dai commenti di vari esponenti autorevoli
della Chiesa Valdese: il tema della “diversità riconciliata”. Così l’ha presentata:
“L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli, infatti,
sono accomunati da una stessa origine, ma non sono identici tra di loro. Ciò è ben
chiaro nel Nuovo Testamento, dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che
condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità
cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica
organizzazione interna. Addirittura, all’interno della stessa piccola comunità si
potevano scorgere diversi carismi (cfr. 1 Cor 12-14) e perfino nell’annuncio del
Vangelo vi erano diversità e talora contrasti (cfr. At 15,36-40)”. Questa diversità non
sempre è stata colta come ricchezza nella storia della Chiesa. Perciò Francesco ha
aggiunto: “Purtroppo, è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la
loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla
storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle
violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la
grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri”.
È a questo punto che le parole del Vescovo di Roma hanno toccato il loro
vertice, non solo emotivo, ma anche teologico, pastorale e spirituale: “Da parte della
Chiesa Cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non
cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome
del Signore Gesù Cristo, perdonateci!” Facendo eco alla richiesta di perdono
avanzata da Giovanni Paolo II in preparazione al Giubileo del 2000, accompagnata
dal documento della Commissione Teologica Internazionale Memoria e
riconciliazione, Papa Francesco ha non solo ribadito la necessità di chiedere perdono
delle colpe passate a Dio e a chi ne portasse ancora il peso delle conseguenze, ma ha
concretamente applicato quest’urgenza di obbedire alla verità al rapporto con i
Valdesi. “La sua richiesta di perdono - ha dichiarato il moderatore della Tavola
valdese, pastore Eugenio Bernardini -, ci ha profondamente toccati e l'abbiamo
accolta con gioia. Naturalmente non si può cambiare il passato, ma ci sono parole che
a un certo punto bisogna dire, e il papa ha avuto il coraggio e la sensibilità per dire la
parola giusta”. In questa luce, i passi compiuti negli anni recenti per un
riavvicinamento fra Cattolici e Valdesi sono stati riletti da Francesco nel segno della
speranza e dell’impegno che ci aspetta tutti: “Incoraggiati da questi passi, siamo
chiamati a continuare a camminare insieme… Consapevoli che il Signore ci ha
preceduti e sempre ci precede nell’amore (cfr. 1 Gv 4,10), andiamo insieme incontro
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agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per
trasmettere loro il cuore del Vangelo”.
Oltre all’impegno comune per l’evangelizzazione, il Papa ha voluto ricordare
un altro ambito in cui lavorare sempre di più uniti, “quello del servizio all’umanità
che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti… Dall’opera liberatrice della grazia
in ciascuno di noi deriva l’esigenza di testimoniare il volto misericordioso di Dio che
si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno. La scelta dei
poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude, ci avvicina al cuore stesso di
Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9), e, di
conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri. Le differenze su importanti questioni
antropologiche ed etiche, che continuano ad esistere tra cattolici e valdesi, non ci
impediscano di trovare forme di collaborazione in questi ed altri campi. Se
camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni
contrasto”. A questo invito accorato ha fatto eco il Pastore Paolo Ribet: “Nel
momento in cui siamo chiamati alla fede, siamo anche esortati a metterci in cammino
verso il Cristo, che è e rimane al di fuori e al di sopra di noi. In questo percorso di
persone e di chiese incontriamo fratelli e sorelle che condividono con noi il cammino.
Oggi con gioia incontriamo lei, Papa Francesco, come un nuovo fratello nel nostro
percorso, e vogliamo leggere la sua visita (che è stata definita giustamente ‘storica’)
proprio in questa dimensione”. Sul fondamento della comune confessione di fede nel
Signore Gesù e nella Trinità Santa, la visita del Papa al Tempio Valdese inaugura
dunque un nuovo cammino da fare insieme, nel segno della reciproca fiducia e della
speranza nell’unico Dio, tre volte Santo.
Proprio nella prospettiva del cammino, la questione teologica della natura
ecclesiale delle confessioni impegnate nel dialogo può essere risolta: come in
cristologia e in teologia delle religioni si applica il principio della “analogia Christi”,
che porta a discernere i vari gradi e forme della presenza del Redentore nella vita e
nella storia degli uomini, così - senza appiattire l’una concezione ecclesiologica
sull’altra - Cattolici e Valdesi potranno riconoscersi reciprocamente come Chiese. Se
questo vorrà dire per i Cattolici non rinunciare all’idea della successione apostolica
del ministero ordinato come condizione della sacramentalità della Chiesa tutta, per i
Valdesi vorrà significare l’irrinunciabile primato riconosciuto alla Parola di Dio, che
convoca e genera la Chiesa, “creatura Verbi”, quando è accolta nella fede. Ciò nulla
toglierà al patrimonio dei doni di Dio condivisi, dalla preghiera all’esercizio della
carità, dalla Bibbia all’economia sacramentale fondata sul battesimo. In questa luce,
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potrà essere superata quella logica del “tutto o niente” che ha portato alle reciproche
condanne, fino all’esclusione di fratelli e sorelle, pur uniti dalla grazia battesimale,
dalla partecipazione alla ricchezza dei doni divini ricevuti nella propria Chiesa, a
cominciare dall’eucaristia. Occorrerà, certo, il coraggio di avanzare nella comune
comprensione delle parole del Signore, in una crescita di comunione teologica e
spirituale che esige reciproco ascolto e volontà comune di obbedienza al Dio vivente
e alla Sua Parola. Ma la strada è aperta e il clima umano e spirituale sperimentato
nell’incontro al Tempio Valdese di Torino schiude possibilità inattese. Lo ha augurato
Francesco a tutti i partecipanti con le sue parole di chiusura: “Cari fratelli e sorelle, vi
ringrazio nuovamente per questo incontro, che vorrei ci confermasse in un nuovo
modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra
fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo, e, soltanto dopo, le
divergenze che ancora sussistono… Il Signore conceda a tutti noi la sua misericordia
e la sua pace”.
Analogo è stato l’auspicio del Pastore Ribet che, richiamando la volontà dei
Padri che costruirono il Tempio Valdese di Torino di vivere l’evangelo in modo
“altro”, ha osservato: “Spesso l’accento è stato messo sull’aggettivo ‘altro’, sulla
diversità. Ma oggi vorrei mettere l’accento sul verbo ‘vivere’. L’evangelo non è una
dottrina, ma è una persona: la persona Gesù Cristo. È un atto di grazia che il Signore
ci ha fatto e che noi siamo chiamati a testimoniare con le parole e con la vita nel
contesto della città in cui siamo posti... per il bene della città… in una sinfonia di voci
che si rafforzano e si completano a vicenda”. A sua volta il Pastore Eugenio
Bernardini ha affermato, rivolgendosi a Papa Francesco: “Entrando in questo tempio,
Lei ha varcato una soglia storica, quella di un muro alzatosi oltre otto secoli fa
quando il movimento valdese fu accusato di eresia e scomunicato dalla Chiesa
romana. Qual era il peccato dei valdesi? Quello di essere un movimento di
evangelizzazione popolare svolto da laici, mediante una predicazione itinerante tratta
dalla Bibbia, letta e spiegata nella lingua del popolo. Da oltre otto secoli, attraverso
una storia a lungo segnata da varie forme di persecuzione e quindi scritta anche col
sangue di molti martiri, non abbiamo voluto essere altro che una comunità di fede
cristiana al servizio della parola di Dio e della libertà del suo annuncio…”.
Il Moderatore ha quindi aggiunto: “Crediamo anche noi che l’unità cristiana
possa e debba essere concepita proprio così: come ‘diversità riconciliata’, in cui
occorre sottolineare sia la parola ‘diversità’, sia l’esigenza che sia ‘riconciliata’…
Ogni chiesa ha bisogno delle altre per realizzare la propria vocazione. Non possiamo
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essere cristiani da soli… È nostra umile ma profonda convinzione che siamo chiesa:
certo peccatrice, ‘semper reformanda’, pellegrina che, come l’apostolo Paolo, non ha
ancora raggiunto la mèta (Fil 3,14), ma chiesa, chiesa di Gesù Cristo, da Lui
convocata, giudicata e salvata, che vive della sua grazia e per la sua gloria... In questo
mondo, noi cristiani siamo chiamati a dire la Parola della verità e della vita, una
parola che non ritorna invano ma che cambia i cuori e le menti. Annunciare questa
Parola è la nostra fatica e la nostra gioia di sorelle e fratelli in Cristo”. Gli ha fatto eco
nel suo saluto di commiato Alessandra Trotta, Presidente dell’Opera per le Chiese
Evangeliche Metodiste in Italia: “Andiamo con speranza, per portare speranza; la
speranza alimentata dall’ascolto di una Parola di vita, che ci insegna ad osare,
sempre, nelle occasioni private come in quelle pubbliche, le parole che rompono i
silenzi delle solitudini, dell'emarginazione e della rassegnazione; che sfidano le
chiusure degli egoismi, delle paure, dei risentimenti. Andiamo ed andiamo insieme,
perché c'è molto da fare”. È questa anche la ragione per cui sono qui, quale presidente
della Commissione dei Vescovi Italiani per l’Ecumenismo e il Dialogo: per
camminare insieme con tutti Voi, al servizio del Vangelo, per la causa di Dio e degli
uomini, nostri compagni di strada; per andare e andare insieme. Perché c’è molto da
fare…